C’è un incrocio interessante tra Se questo è un uomo e La tregua; un chiasmo che possiamo così riassumere: Se questo è un uomo si apre con la lirica Shemà, in cui leggiamo la maledizione “o vi si sfaccia la casa”, e si chiude con l’arrivo dei russi. Nelle prime pagine de La tregua a dominare sono proprio i russi, con le famose parole che descrivono il sentimento della vergogna, mentre chiude il racconto la descrizione del ritorno a casa. Levi scrive: “Giunsi a Torino il 19 ottobre, dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava”. La parabola di Se questo è un uomo e La tregua potrebbe essere come un viaggio che inizia dall’essere strappato da casa e che si chiude nuovamente a “casa”. 

A colpire in particolare la notazione di Levi a proposito della sua abitazione ancora “in piedi”: il primo pensiero, il più semplice, è legato al sollievo nel constatare che la casa è stata risparmiata dai bombardamenti degli Alleati. Se continuiamo nella lettura del paragrafo de La tregua troviamo: “Ritrovai gli amici pieni di vita, il calore della mensa sicura, la concretezza del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare”. Casa, amici, calore. Questi tre concetti sono, anche, al centro di Shemà,  dove il termine “casa” è il cardine della lirica con ben tre occorrenze: le “tiepide case”, “stando in casa”, “vi si sfaccia la casa”. 

In un primo momento quindi il ritorno per Levi si configura come un nostos a ciò che era prima; questo nasconde in sé il desiderio che ciò che è stato, ciò che è accaduto, sia in qualche modo passato. Il ritornare, però, non si configura come una semplice ricomposizione del tempo passato. 

Sappiamo proprio, leggendo Shemà, che tutto potrà tornare come prima, solo a patto che si ricordi che questo è stato. Bisogna raccontare e ricordare cosa è stato affinché tutto ritorni come era prima. La nostalgia, ovvero il desiderio del ritorno, si nutre della rottura dell’equilibrio. Auschwitz è la frattura logica e consequenziale di ogni nostro pensiero: è il lager, come luogo e come evento storico, il male assoluto e a sua volta si ribella a qualsiasi assolutizzazione; è difficile davanti ad Auschwitz trovare una posizione o punto di vista. 

Levi stesso proprio per questo motivo si trasforma in una sorta di Ulisse, che torna a casa e non viene riconosciuto da nessuno (cosa che accade anche all’eroe omerico) e che si presenta come “gonfio, barbuto e lacero” e non atteso da nessuno. Gli amici, la famiglia lo credono morto e, quindi, la sua apparizione è simile a quella di uno spettro. Il personaggio di Ulisse è per Levi sempre stato fondamentale, tanto che ne La ricerca delle radici, l’auto-antologia di Levi, il poema omerico è, insieme a Giobbe, il fondamento delle sue radici culturali e di scrittura. 
Levi commentando un episodio omerico (la beffa di Polifemo) dice che Ulisse è “un uomo da nulla”, forse proprio per questo motivo a chiudere La tregua  a sigillare il ritorno a casa dell’eroe è la riflessione sul “nulla era vero all’infuori del lager”. Ulisse rappresenta colui che torna a casa dopo aver fatto l’esperienza della nullificazione di sé, e allo stesso modo Levi, che è stato ridotto a cosa, che è stato svuotato, può tornare a casa solo a patto di conservare in sé, proprio come Ulisse, l’esperienza della nullità. La nostalgia, l’arte del ritorno, quindi non è tanto un tornare da dove si era partiti, ma è tornare dopo aver attraversato il nulla radicale.

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